Pubblicare un’opera su Facebook non basta a presumerne la paternità.
(Tribunale di Milano, Sez. Imprese, sentenza 10 maggio 2021, n. 3933)
La mera pubblicazione di un’opera su Facebook non è sufficiente a dimostrare che l’autore della condivisione sia anche l’autore dell’opera.
In termini generali, attribuire la paternità di un’opera d’arte significa dare rilevanza giuridica al legame che nasce tra autore e opera con la creazione artistica, per il solo fatto e nel momento stesso in cui l’opera viene creata, senza che sia necessaria alcuna formalità (art. 2577, comma 2, c.c. e artt. 6 e 106 L. n. 633/1941, “LdA”).
Con il diritto fondamentale di paternità, che la legge configura come inalienabile, imprescrittibile e irrinunciabile, l’autore realizza il proprio fine di farsi conoscere al pubblico e, al tempo stesso, quest’ultimo può individuare con certezza a chi attribuire un’opera d’arte.
Proprio sul tema della facilità di identificare l’autore partendo dall’opera, il Tribunale di Milano si è recentemente pronunciato negando che un post di Facebook sia idoneo a far presumere la paternità dell’opera in esso rappresentata in capo all’autore della condivisione sul social network. La Sezione Specializzata del Tribunale di Milano ha ritenuto che un semplice post su Facebook, come tale, non fosse sufficiente a dar prova della paternità dell’icona: giudici hanno infatti evidenziato che l’attore ben avrebbe potuto suffragare questo elemento con ulteriori indizi, ad esempio, fornendo indicazioni sulla tecnica pittorica adoperata per realizzare il quadro, oppure offrendo la prova in ordine a quali siano le pubblicazioni di settore nelle quali l’opera fosse stata attribuita all’attore, ed in quali eventi pubblici (mostre, esposizione presso gallerie d’arte) l’opera fosse stata presentata al pubblico.
Mancava poi la firma del quadro, che avrebbe potuto essere confrontata con altri quadri con la stessa firma attribuiti con certezza all’attore o – quantomeno – la prova di altre opere la cifra stilista delle quali avrebbe potuto costituire un valido paragone per indagare la paternità dell’opera. L’assenza di altri elementi di prova ha, quindi, condotto al rigetto della domanda dell’attore perché priva di indicazioni di paternità effettuate nel rispetto delle forme d’uso previste dalla legge.
L’uso e l’abuso degli strumenti social comporta spesso un’aggravante rispetto ad alcuni reati. La diffamazione ad esempio o la pubblicazione di opere altrui comporta per l’autore una pena più severa laddove sia perpetrata a mezzo social, questo anche e soprattutto per l’ampia diffusione che gli stessi social comportano e di conseguenza del danno che ingenerano nella persona offesa.
In molti casi attività di cyber-investigation sono il supporto indispensabile al fine di documentare attività illecite ed utilissime a fornire le evidenze necessarie alla difesa aziendale.